Capita di frequente che i lavoratori dipendenti, e soprattutto i dipendenti pubblici, stipulino finanziamenti con cessione del quinto del proprio stipendio e del TFR. Non è raro, poi, che successivamente gli stessi soggetti rinuncino ad un ulteriore quinto della propria retribuzione, con contratti chiamati delegazione di pagamento. Lo stesso accade ai pensionati, i quali facilmente, in quanto titolari di un reddito “certo”, riescono ad accedere a prestiti che poi gravano sulla pensione per moltissimi anni.
In tutti questi casi c’è una decurtazione diretta nella busta paga o nel cedolino della pensione e si tratta di debiti “intoccabili”, ossia che non possono in nessun modo essere interrotti, anche se non si riesce più a fare la spesa o a pagare le bollette.
Ovviamente ci si riferisce alle condizioni di “sovraindebitamento”, quelle in cui una famiglia non è più in grado di adempiere alle obbligazioni assunte per il verificarsi di qualche evento negativo: la perdita del lavoro di uno dei coniugi, una vedovanza, una malattia, una separazione, un’impresa che chiude, e così via; purtroppo sono situazioni oggi più diffuse di quanto di pensi e che possono portare ai limiti della sussistenza o addirittura ad atti disperati.
L’utilizzo della legge 3 del 2012, detta anche antisuidici, può essere una soluzione; infatti vi sono già diverse decisioni dei tribunali che, nell’ambito di due delle procedure previste da tale legge, il piano del consumatore (tribunali di Siracusa e Pistoia) e la liquidazione del patrimonio (tribunale di Piacenza), prevedono la revoca dei finanziamenti dietro cessione del quinto e delega di pagamento; in tal modo il debitore si riappropria del suo reddito, o meglio della somma che serve per il sostentamento della sua famiglia, destinando la parte residua ai creditori nel loro complesso, comprese le finanziarie e le banche con le quali aveva stipulato prestiti con cessione del quinto.