L’omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali da parte del datore di lavoro costituisce un reato ai sensi dell’art. 2 del DL 638/1983, convertito nella L. 463/1983, sia con la reclusione fino a tre anni che con una multa.
Si tratta di un reato istantaneo, che si consuma esattamente nel momento in cui scade l’obbligo di versamento dei contributi, ossia il giorno 16 del mese successivo a quello nel quale sono maturati i contributi.
È prevista una causa di non punibilità (art. 2 comma 1 bis DL 638/1983) in quanto “il datore di lavoro non è punibile se provvede al versamento entro il termine di tre mesi dalla contestazione o dalla notifica dell’avvenuto accertamento della violazione”.
È obbligo dell’ente previdenziale assicurare che la contestazione o la notifica dell’accertamento della violazione siano regolari ed aspettare il termine di tre mesi prima di tramettere al notizia di reato al PM; il PM a sua volta deve controllare che l’indagato sia stato messo in condizione di godere della condizione della causa di non punibilità, informando in mancanza l’INPS perché rispetti il proprio obbligo; se comunque il debitore viene citato in giudizio pur in assenza di pregressa notifica dell’accertamento da parte dell’ente previdenziale, il giudice, in qualunque grado del giudizio, anche di legittimità, dovrà accogliere la richiesta di rinvio formulata dall’imputato per consentirgli il versamento delle ritenute omesse: infatti il decreto di citazione in giudizio equivale alla notifica dell’avviso di accertamento solo se ne contiene tutti gli elementi essenziali (importi dovuti, periodi ai quali gli importi si riferiscono, invito a pagare, messa in mora, avvertimento che il mancato versamento comporterà la punibilità del reato). Tutto questo è stato precisato dalla Cassazione a Sezioni Unite con sentenza n. 1855/2011.
La legge non prevede alcuna soglia minima del mancato versamento previdenziale, pertanto una qualunque somma non versata rileva per il verificarsi del reato, anche se l’ammontare dell’importo omesso potrà incidere sulla misura delle sanzioni.
Il fatto che l’azienda versi in stato di crisi non fa venire meno la responsabilità del datore di lavoro (così Cassazione n. 24703/2010; in tema di contributi previdenziali l’impossibilità materiale non influisce sulla struttura oggettiva del reato (Cassazione n. 885/2012), basta la consapevole scelta di omettere il versamento dovuto per integrare il reato, non importa se ciò è avvenuto perché l’azienda era in fase di criticità e le risorse sono state destinate a debiti ritenuti più urgenti (Cassazione n. 37056/2014).
Nella sentenza n. 24900/2015 la Cassazione dichiara anche che l’imprenditore colpevole del reato di mancato versamento di contributi (circa 3 mila euro nel caso in questione) e condannato al carcere, non può ottenere la conversione della pena detentiva alla pena pecuniaria.
È corretto inoltre in caso di omessi contributi cumulare la sanzione civile e la condanna penale. Così stabilisce la recentissima sentenza della Cassazione n. 31378 del 2015: l’imprenditore che non versa i contributi assistenziali e previdenziali commette una vera appropriazione indebita, ed il reato di omesso versamento è punto con una sanzione penale che mira a tutelare il diritto del lavoratore in danno del quale il datore di lavoro si è appropriato delle somme a lui riservate. Tale sanzione può ben cumularsi con la sanzione civile di cui all’art. 116 legge L. 388/2000 che ha invece effetti ristoratori verso l’Inps.