Il Decreto Legge n. 83/2015 entrato in vigore dal 27 giugno 2015, contiene importanti modifiche al procedimento esecutivo.
In termini pratici molto rilevante è il nuovo assetto dell’esecuzione presso terzi nell’ipotesi del pignoramento di stipendi e pensioni e del pignoramento di conti correnti o postali.
Già in precedenza era previsto che stipendi, salari, altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego (per esempio il TFR) e pensioni non potessero essere pignorati se non nella misura di un quinto; questo evidentemente per consentire alle persone di sopravvivere nonostante i debiti.
Inoltre l’assegno sociale, ossia quell’importo riconosciuto dall’INPS ai cittadini sopra i 65 anni ed in stato di bisogno economico, era comunque impignorabile, per il suo carattere assistenziale.
Tuttavia nessuna norma prevedeva espressamente che tutte le pensioni (come quelle di anzianità) avessero una soglia di impignorabilità, anche se dopo un’importante sentenza della Corte Costituzionale del 2002 (che ha stabilito l’impignorabilità delle pensioni nella parte necessaria alle esigenze minime di vita), i Tribunali si sono spesso orientati a ritenere pignorabile, nei limiti del quinto, solo la parte della pensione eccedente l’assegno sociale, pur con qualche discrezionalità nell’individuazione dell’importo “intoccabile” dai creditori
Ora nel nuovo art. 545 c.p.c. viene inserito un nuovo comma (comma 7) che stabilisce che le somme da chiunque dovute a titolo di pensione, di indennità che tengono luogo di pensione o di altri assegni di quiescenza, non possono essere pignorate per un ammontare corrispondente alla misura massima mensile dell’assegno sociale aumentato della metà (in pratica euro 672,78): questa modifica appare molto opportuna perché chiarisce in modo preciso la parte di reddito pensionistico assolutamente non pignorabile e perché estende il limite a tutte le pensioni o altra indennità pensionistiche.
La precedente normativa presentava inoltre un’altra forte anomalia: qualora pensioni o stipendi fossero confluiti nel conto corrente o postale, erano pignorabili senza alcun limite, in quanto ritenuti una disponibilità liquida fungibile. In poche parole i creditori potevano così tranquillamente aggirare i limiti di pignorabilità posti dalla legge, andando ad aggredire per intero quanto pervenuto su conto corrente, anche trattandosi di pensione sociale o di una esigua pensione di anzianità o di un reddito bassissimo, con evidente palese ingiustizia, dato tra l’altro l’obbligo di legge di far confluire pensioni e stipendi su conto corrente.
La giurisprudenza aveva confermato questa (iniqua) impostazione, e l’unica eccezione riguardava i debiti verso Equitalia, alla quale una recente legge (n. 69/2013) ha espressamente impedito di pignorare presso la banca del debitore l’ultimo emolumento da questi ricevuto.
Finalmente il decreto 83/2015 (inserendo il nuovo comma 8 all’art. 545 c.p.c.) stabilisce che le somme dovute a titolo di stipendi, salari, pensioni, se accreditate su conto bancario o postale, possono essere pignorate, quando l’accredito è avvenuto prima del pignoramento, solo per l’importo eccedente il triplo dell’assegno sociale, mentre quando l’accredito è successivo al pignoramento vigono gli stessi limiti esistenti per il pignoramento presso il datore di lavoro o l’ente previdenziale.
I pignoramenti che violano queste norme sono parzialmente inefficaci, con inefficacia rilevabile dal giudice anche d’ufficio.
Le nuove disposizioni si applicano esclusivamente alle procedure iniziate successivamente alla data di entrata in vigore del decreto legge.